A Parigi sono le 21,30 Enrico Letta sta partecipando alla festa popolare al Louvre per la vittoria del suo amico Emmanuel Macron, un successo che l’ex presidente del Consiglio interpreta come una svolta non solo per la Francia: «La sfida tra il candidato più europeista e la candidata più eurofoba aveva trasformato questa elezione in un referendum sull’Europa. Ebbene, il voto rilegittima l’Unione. Pareggia e riscatta l’annus horribilis, il 2016, che aveva portato a Brexit e all’elezione di Trump. E poiché in settembre, in Germania, si contenderanno la vittoria due forze europeiste, possiamo ben dire che siamo alla vigilia di una stagione di svolta: esattamente come dopo la caduta del muro di Berlino, stanno per riscriversi gli equilibri europei».

Macron resta un oggetto semi-misterioso ma lei lo conosce bene: che presidenza sarà la sua?

«Lui è da anni l’alfiere di un europeismo che in Francia non si era più visto dai tempi di Mitterrand. Macron non è mai stato un falco dell’austerità. Anzi, è vero il contrario. Come ha ricordato l’ex ministro greco Yanis Varoufakis e come posso testimoniare in prima persona, a Macron si deve il fatto che la Grecia non sia finita fuori dall’euro, come voleva il ministro tedesco Schäuble. Una linea, che definirei, di solidarietà responsabile che dal 2015 si è fatta strada, consentendo a Paesi come Italia, Francia, Portogallo, Spagna di godere di più ampi spazi di flessibilità e a Draghi politiche espansionistiche che prima non aveva potuto svolgere. Tutto questo fa sperare in una svolta».

Giocarsi tutto sulla carta europeista in un Paese sciovinista come la Francia poteva costargli caro...

«Si è preso un rischio enorme. Qualsiasi guru americano lo avrebbe sconsigliato a intraprendere una via così rischiosa. Ma ora lui è legittimato sulla base di un rischio e per questo è molto più forte. Macron, proprio per il modo in cui ha vinto, può diventare un’icona globale. Come Trump, come Merkel, come Trudeau».

La «nuova» Europa, con le leadership rilegittimate in Francia e Germania, in che direzione andrà? Confermerà la dottrina dell’austerità o si marcerà a due velocità?

«La linea di Macron è quella di un’Europa a più velocità. Germania e Francia daranno un forte impulso all’area dell’euro. Macron, quando lavorava all’Eliseo con Hollande, ha lavorato per includere Italia e Spagna. Ma ora molto dipenderà da noi: dovremo sapere rispondere al rilancio europeista di Macron, che ci carica di responsabilità».

Quale è il punto centrale della agenda di Macron sulla quale potrebbero convergere Germania e Italia?

«Bisogna che l’euro diventi, da strumento di austerità, strumento di crescita. Macron ha la competenza per un disegno di questo tipo, un disegno che converrebbe anche a noi».

In Italia europeisti convinti se ne vedono pochi: lei ci ha appena scritto un libro, ma per ora i voti si prendono, parlandone male...

«Davanti al rilancio di Macron, l’Italia non può rispondere con la palude. O continuando a cullarsi nella speranza del “too big, to fail”. troppo grandi per fallire. Ricordo che dopo la caduta del muro di Berlino si infilarono nella “nuova” Europa, Paesi vitali e con forti leadership come la Spagna. Ora, per l’effetto congiunto di Trump e Brexit, della vittoria di Macron e quella degli europeisti in Germania, stanno per riscriversi gli equilibri europei. La Francia, europeizzandosi, ha preso un grosso vantaggio...».

Macron dice: «L’Europa ci protegge»... Renzi dice: «Europa sì ma non così».

«A volte in politica i simboli sono fondamentali. A Parigi fuori dell’Assemblea nazionale ci sono 5 bandiere, 4 francesi e una dell’Unione. Macron ha ostentato in tutti i comizi l’esposizione di un numero pari di bandiere. Una bella lezione per l’Italia, dove - al momento - se si esclude qualche convinto europeista, la sfida è tra euro-fobici, euro-scettici, euro-timidi».

E quindi, la lezione anche per noi quale potrebbe essere?

«Non è vero che l’europeismo non paga elettoralmente. Le proporzioni della vittoria di Macron sono superiori alle attese e ai sondaggi».

I populisti-nazionalisti, al momento delle elezioni, finiscono per incutere più paura di quanta ne canalizzino prima?

«Attenzione a pensare che il problema sia risolto. Il risultato di Le Pen resta rimarchevole. Certo, nel confronto televisivo è apparso chiaro che le sue soluzioni non erano credibili e sulla moneta unica è crollata. Oltretutto, mentre Trump era sfidato da un personaggio come Hillary Clinton, Le Pen si è trovata davanti un candidato fresco e competente. In generale, i populisti avanzano più facilmente quando a contrastarli ci sono vecchi arnesi della politica, ma cadono davanti a sfidanti capaci di un linguaggio diretto, espressione di un rinnovamento».

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