«Non siamo affatto in salvo, altri paesi potrebbero seguire Londra», mette in guardia l’ex premier italiano Enrico Letta, direttore della Scuola Internazionale dell’Università SciencesPo di Parigi e presidente dell’istituto Jacques Delors. «L’Europa - dice - non si aggiusta con i tweet».

Il vertice di Bratislava ha congelato gli entusiasmi europeisti vellicati a Ventotene per risollevarsi dalla Brexit. Da dove ripartire adesso? Dire dall’euro nell’era dei populisti sembra una provocazione. Eppure è sull’euro e sulla crescita che si concentra lo studio dell’istituto Delors e della Fondazione Bertelsmann (Repair and Prepare. Growth and the Euro after Brexit) che Letta presenta oggi a Berlino.

L’euro è il primo target degli euro-scettici. Lo rafforziamo?

«Paradossalmente l’euro è oggi il tassello dell’UE più amato dai cittadini, perché al netto delle critiche a Bruxelles tutti sanno quanto tornare alle monete nazionali nuocerebbe ai paesi deboli. I dati ci suggeriscono anche come la Banca Centrale Europea sia l’istituzione che gode della maggiore fiducia. Senza Draghi la situazione avrebbe potuto essere peggiore. La tempesta non è passata: se la crisi si ripresentasse saremmo ancora impreparati e non possiamo più permetterci, come nel 2008, di impiegare 4 anni per il Fondo salva-Stati».

Cosa propone il rapporto?

«Parte dal presupposto che non esista un’unione monetaria senza un’unione economica e va in direzione opposta alla linea attendista di Berlino e Parigi, quella del non fare nulla fino al voto tedesco e francese del prossimo anno. Dobbiamo muoverci: a settembre 2017 potrebbe non esserci più un’Europa da aggiustare».

C’è molta diffidenza nei riguardi dei tecnicismi. Come si aggiusta l’Europa in parole semplici?

«L’unione economica deve generare gli investimenti mancati negli anni della crisi. Finora l’aggiustamento è avvenuto a livello nazionale ma adesso servono politiche di crescita europee, il piano Junker è utile ma insufficiente. È uno dei punti centrali del rapporto, di cui consideriamo parte integrante il lavoro del gruppo coordinato da Mario Monti sulle risorse proprie della UE. Proponiamo per esempio che il Fondo salva-Stati non sia usato solo per spegnere l’incendio ma per creare investimenti e che abbia meccanismi di reazione immediata in modo da non dover ricorrere come nel 2009 al Fondo Monetario Internazionale, tuttora in campo. L’altro punto, su cui i tedeschi frenano, è il completamento dell’unione bancaria».

Secondo il rapporto la road map potrebbe durare 10 anni. Gli europei avranno tanta pazienza?

«Il metodo Delors per il mercato unico teneva insieme il cacciavite e i principi. I tecnici hanno bisogno di tempo per rinforzare i bulloni e prepararsi a un’altra eventuale tempesta. Ma il rapporto parla anche all’opinione pubblica che chiede risultati visibili. Servono gli investimenti e la democratizzazione dell’euro. Voglio dire che bisogna affiancare a Draghi dei ministri dell’economia dell’euro che non siano banchieri ma abbiano una legittimazione politica e creare una sorta di parlamento dell’euro. Ai tempi della crisi greca c’erano il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale e il parlamento europeo che comprendeva però anche paesi non in zona euro come la Gran Bretagna: i greci avevano buon gioco a contrapporre la propria legittimità di eletti a quella di organismi non eletti».

La Brexit potrebbe agevolare la democratizzazione dell’euro?

«Spero di sì. Ero per il “Remain” ma adesso è fatta e non si torna indietro. Il Regno Unito vorrebbe diventare la Singapore d’Europa ma noi dobbiamo essere saldi nel rifiutare la libertà di movimento dei soldi senza la libertà di movimento delle persone. Il tempo stringe. Il documento presentato a Bratislava dal Gruppo di Visegrad è quello di chi vuole uscire. Bisogna agire».

Può l’Europa risolversi nell’euro? E tutto il resto, la storia, l’identità, il progetto politico?

«L’’euro è un tassello importante, finora ci ha difeso ma non ci ha dato crescita. La moneta unica è nel mirino ma bisogna eliminare il sillogismo per cui prima si stava meglio: è vero che il 2000 è uno spartiacque ma perché dopo sono entrati in campo concorrenti che hanno messo KO l’Europa, penso all’India, al Brasile, alla Corea del Sud, alla Cina che era il 5% dell’economia mondiale e oggi è il 17%. Poi certo, l’euro da solo non basta. Gli atri tre pilastri per salvare l’Europa sono la sicurezza, dal terrorismo alla difesa all’FBI europea, la gestione dei flussi migratori e la polizia frontaliera, i giovani».