Esteri

Enrico Letta: "Il nazionalismo di Kaczynski è una trappola. L'Europa rafforza gli Stati"

L’ex premier, ora guida dell’Institut Delors, dopo l’intervista a Repubblica del leader polacco

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PARIGI . "Le parole di Kaczynski rappresentano una trappola mortale alla quale l'Europa deve sottrarsi". Enrico Letta ha guidato pochi giorni fa i festeggiamenti per il ventesimo anniversario dell'Institut Jacques Delors, il think tank di cui è diventato presidente. Da europeista convinto, Letta commenta con preoccupazione l'intervista a Repubblica del leader polacco che sogna una "contro-rivoluzione" nell'Ue. "Il suo discorso può avere una grande forza attrattiva su opinioni pubbliche spaventate e disorientate", osserva l'ex premier che si è dimesso dal parlamento e vive ormai da più di un anno a Parigi, chiamato a guidare l'Ecole d'affaires Internationales della prestigiosa Sciences Po.

La Polonia vuole cambiare i Trattati, varare riforme che diminuiscano i poteri di Bruxelles. Come dovrebbe rispondere l'Europa?
"Quello di Kaczynski è un tentativo disonesto di trasformare l'europeismo in una presunta volontà di Bruxelles di imporre il Super-Stato europeo. È una mistificazione, una leggenda. L'Europa non è gli Stati Uniti d'America, che avevano identità statuali e nazionali deboli quando si sono federati. La nostra riposta è nella definizione lanciata da Delors: la Federazione degli Stati Nazione".

Eppure, dal Brexit alla Polonia e all'Ungheria, c'è un movimento verso il ritorno alle piccole patrie.
"È evidente che non si può prescindere dagli Stati. Ma un'altra cosa dev'essere chiara: l'Europa rende più forti gli Stati. Oggi vediamo che l'Ue è divisa tra piccoli paesi e grandi paesi che non hanno ancora capito di essere condannati a diventare piccoli senza l'Ue. Questo vale anche per la Germania, la Francia e l'Italia. Avremo un futuro solo se rimaremo uniti".

La crisi dei rifugiati ha invece dimostrato una nuova spaccatura con l'Est?
"Spiace notare che c'è stata una debolezza nella risposta dell'Europa nei confronti di questi paesi contrari al piano di redistribuzione dei rifugiati. È bene ricordare che nella solidarietà tutto si tiene. Se alcuni paesi prendono fondi strutturali o vengono aiutati in settori come quello industriale e agricolo, non possono poi dire che non danno la loro solidarietà quando l'Europa affronta una grave crisi migratoria. È un messaggio anche ad alcuni sostenitori italiani di Orbàn e Kaczynski".

Ovvero?
"Se salta l'idea di redistribuire i rifugiati tra tutti i 27 paesi europei, come chiedono Kaczynski e Orbàn, saremo i primi a subirne le conseguenze. È come inneggiare ai leghisti ticinesi che poi fanno un referendum per vietare i lavoratori italiani transfrontalieri. Il nazionalismo è un'arma a doppio taglio anche per chi la usa".

E dunque Bruxelles dovrebbe minacciare sanzioni?
"Certo. Ad esempio se il referendum ungherese fosse stato approvato, o se il governo di Budapest vorrà continuare su quella linea, è legittimo per l'Ue utilizzare tutti gli strumenti possibili per far rispettare le regole. Dev'essere chiaro che non esiste l'Europa à la carte , in cui si prende senza dare niente".

Cos'hanno in comune Kaczynski e Orbàn?
"Sono il simbolo di un nazionalismo classico anche se rivisitato sotto certi aspetti. Tra i due leader c'è però una differenza sostanziale. L'Ungheria è un paese piccolo in cui una parte della popolazione sogna di tornare alla grandeur del passato, quando il paese era uno dei più grandi imperi e non solo una nazione di nove milioni di abitanti. Orbàn cavalca una depressione collettiva per un ruolo ormai perduto. Abbiamo visto comunque che il voto di Budapest nel referendum è stato fortemente contrario al governo, segnale che esiste un'opposizione interna".

E il leader polacco rappresenta lo stesso tipo di nazionalismo?
"La Polonia è un grande paese e sotto la leadership di Donald Tusk è stata anche politicamente centrale in Europa. Mi pare che il discorso di Kaczynski abbia risvolti sostanzialmente domestici. Alla fine sono parole d'ordine prive di qualsiasi concreta attuazione. Non dico che non siano pericolose, perché attizzano i nazionalismi. L'Europa viene usata come una clava a fini politici interni. Anche nell'intervista a Repubblica il leader polacco critica Bruxelles per colpire due obiettivi: Tusk e Lech Walesa. Su Tusk, Kaczynski vuole contestare il rinnovo del mandato alla guida del Consiglio europeo. E proprio per questo gli altri leader europei dovrebbero dire subito che lo appoggeranno".

Dov'è stato l'errore? L'allargamento dell'Ue non è stato sufficientemente preparato?
"L'allargamento era necessario. Il vero errore semmai è non aver fatto le riforme di governance prima dell'ingresso dei nuovi paesi, come previsto dal Trattato di Lisbona. Una Commissione con 27 commissari, uno per ogni paese, sarà sempre debole. Oggi alcuni paesi hanno un potere frenante superiore a quello che gli spetterebbe. Però attenzione: Kaczynski e Orbàn fanno la voce grossa perché gli altri leader non riescono a trovare un minimo comune denominatore per avanzare su riforme concrete. Io non sono per dire che l'Europa va bene così. Ci sono molte cose da migliorare e da cambiare. Quel che temo sono invece le divisioni e lo stallo. È così che indirettamente rafforziamo i nazionalisti".