Enrico Letta ha una sensazione precisa. «Tutti gli indizi dicono che Macron e Merkel stanno per avviare con forza un progetto di rilancio dell’integrazione europea», assicura l’ex presidente del Consiglio, oggi direttore della Scuola Affari Internazionali di Parigi. Lo faranno e in tempi brevi, precisa: «Si comincerà dopo il voto tedesco e il quadro dovrà essere chiarito entro metà 2018», perché poi scatterà l’impasse legato al rinnovo del parlamento e delle istituzioni Ue. Sei mesi, massimo nove, e l’Italia non deve perdere questo treno, «deve essere nel vagone di testa», anche se «c’è il rischio di un’instabilità politica» legata al voto di primavera. La posta in gioco è alta, ma «non sono per spaventare gli elettori con gli aut aut: occorre una discussione politica e poi, come giusto, saranno le urne a decidere».

Presidente, che segnali dal summit dell’Eliseo e dalle aperture della cancelliera Merkel su un bilancio europeo?

«Siamo nell’anticamera di un tentativo di rilancio. Macron e Merkel vogliono passare dalle parole ai fatti per essere rifondatori dell’Europa così come lo furono Mitterrand e Kohl».

Possiamo fidarci della Germania sulla cassa condivisa?

«La Merkel dei prossimi anni, se confermata, sarà più europea che tedesca. È un salto naturale per quello che potrebbe essere il quarto e ultimo mandato. Non so cosa deciderà di fare, se agirà davvero in chiave di maggiore condizione e solidarietà. Tuttavia, dalle idee che ha espresso recentemente, si evince che avrebbe voglia di entrare nella Storia come grande leader europeo».

E Macron? C’è molto nazionalismo nel suo amore per l’Europa.

«La sera della vittoria elettorale sono andato ad ascoltarlo al Louvre. Hanno suonato l’Inno alla gioia. Non mi pento di averlo fatto, oltretutto l’alternativa era Marine Le Pen. Macron ha cambiato il corso delle cose, ha fatto cadere il populismo antieuropeo. Immaginiamo come sarebbe la campagna elettorale tedesca se Le Pen fosse presidente. Le pulsioni anti-Europa sarebbero venute tutte fuori e l’Italia ballerebbe sul vulcano».

Va bene. Però la Francia ci sta negando la Stx.

«Un grave errore, europeo ed economico. Incomprensibile».

Come farà l’Italia a rimanere coi battistrada franco-tedeschi?

«Deve assolutamente farlo. Per il nostro bene e per quello dell’Europa. Dobbiamo ricordare come De Gasperi ci ha condotto laddove non era scontato che arrivassimo. E capitalizzare la fortuna di avere un’ispirazione europeista nel presidente della Bce. La linea di Draghi è giusta. Ha dimostrato che si può essere europei e al contempo italiani, rispettando i reciproci interessi. Il fatto che l’Italia stia nei vagoni di testa è un bene per noi e per l’Europa, perché se questa è solo franco-tedesca non funziona. La Germania ha bisogno di non essere lasciata solo a guidare l’Ue».

C’è il rischio che l’instabilità politica ci penalizzi?

«Non voglio parlare di questioni di politica interna, ma il rischio c’è. E molto dipende da come si discuterà di Europa nei prossimi mesi. Se ne deve parlare in modo chiaro e trasparente. Poi decideranno gli elettori. Che hanno sempre ragione. Non sono per dire “o così o il disastro”. È un atteggiamento infantile».

Parlare va bene. Ma di che?

«Torniamo all’iniziativa tedesca con cui tutti dovremmo misurarci. La vedo su tre grandi questioni: l’euro fattore di prosperità e non di caos; come proteggere i cittadini europei, dal terrorismo e dal caos migratorio; come dare il cittadino il potere di decidere in Europa. Su queste tre cose, con l’Italia dentro o l’Italia fuori, il destino sarà molto diverso».

L’Ue è ancora in pericolo?

«La vittoria di Macron non ha salvato l’Europa per sempre. Con la Brexit abbiamo scoperto che l’Unione può morire. Ora va meglio. Ma i mali di fondo non sono certo sanati».

Siamo schiacciati fra Putin e Trump. Una doppia incertezza.

«L’editore francese ha riformulato il titolo del mio libro. Suona come “fare l’Europa in un mondo di bulli”. In realtà è un contesto in cui è più semplice vedere che le idee d’integrazione sono più interessanti e valide. Le difficoltà, talvolta, aiutano a capire».

Bisognerebbe che fosse chiaro come affrontare il dramma dei migranti.

«Sarà il grande tema dei prossimi dieci anni. L’Africa è l’unico continente che raddoppia gli abitanti, più giovane e numeroso. Senza sviluppo, verranno in Europa. Il vertice dell’Eliseo è stato intelligente. Hanno dimostrato di aver compreso che s’impone un salto di qualità complessivo fatto di tante cose. L’alternativa è minacciosa. Molto. La politica da noi deve assumersi la responsabilità di non soffiare sul fuoco. Ogni parola di troppo, in questo campo, è una potenziale minaccia. Se la politica usa per prima termini assurdi, la gente è invitata ad imitarla. Dovrebbero smetterla».

Se lo augura e ci crede?

«Me lo auguro e ci spero».

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