Vincere la corsa per riconvertire le economie in tema di clima e ambiente

Possiamo perdonare ai cittadini europei di aver considerato l’America di Trump soltanto un enorme ostacolo verso la costruzione di un mondo migliore. Però da mercoledì mattina il nuovo inquilino della Casa Bianca sarà Joe Biden e potrà appoggiarsi sulla maggioranza in entrambe le Camere del Congresso. Il suo insediamento avrà ripercussioni significative per tutto ciò che riguarda il cambiamento climatico. Non ultimo, darà la possibilità all’Unione Europea di imporsi come protagonista mondiale nella lotta al cambiamento climatico, da cui deriva gran parte della sua influenza economica e geopolitica globale.

Se il sito della campagna presidenziale di Joe Biden può darci una qualche indicazione, nel discorso di insediamento al National Mall di Washington il neo-presidente parlerà di come gli investimenti in nuove tecnologie per l’energia pulita potranno creare milioni di posti di lavoro nell’industria e annuncerà il ritorno degli Stati Uniti tra i paesi impegnati nella lotta al cambiamento climatico.

Durante l’amministrazione Trump, l’Unione Europea si è imposta come la protagonista mondiale in tema di clima. Che cosa comporterà per l’UE questo repentino cambiamento dell’atteggiamento americano verso la principale crisi ambientale dei nostri tempi? Le nobili intenzioni europee e le sue aziende cleantech saranno schiacciate tra un’America che riscoprirà le proprie ambizioni in materia di clima e un’economia cinese in forte crescita, che l’anno scorso ha mostrato di volersi ritagliare il proprio spazio nella transizione ecologia?

Da ex Direttore Generale del WTO ed ex Commissario al Commercio dell’UE, spero vivamente di no. Immagino un’Europa in grado di rafforzare la posizione di leader acquisita a fatica in settori come la produzione di turbine eoliche. Immagino un’Europa che continui a collaborare in maniera costruttiva in materia di clima e di ambiente con gli alleati tradizionali (anche se talvolta ondivaghi), come gli Stati Uniti, e con paesi come la Cina, che lo scorso settembre si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060.

Credetemi: La corsa per riconvertire rapidamente le economie dei diversi paesi e farle crescere in un mondo a neutralità climatica è già iniziata, e sarà dura e agguerrita. Ora che abbiamo mostrato la via, noi europei non possiamo crogiolarci nei nostri progressi iniziali, altrimenti saremo superati dai nostri concorrenti. Secondo una recente analisi dell’Istituto Jacques Delors, nel 2019 solo pochi paesi non appartenenti all’UE si erano impegnati a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ora ben 12 paesi, tra cui la Cina, gli Stati Uniti e il Giappone, hanno seguito l’esempio europeo e si sono impegnati a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 o il 2060. Questo gruppo rappresenta quasi il 75% del PIL mondiale.

Se l’UE vuole restare al centro di uno scenario economico e politico globale sempre più incentrato su transizione ecologica, digitalizzazione e concorrenza, ci sono tre punti su cui deve concentrarsi da subito.

Il primo è investire di più in innovazione trasformativa pulita. Secondo il rapporto «Fit for Net-Zero» della società di consulenza Capgemini Invent, lo sviluppo e l’ampliamento della Clean Technology in tutta Europa può sostenere 12,7 milioni di posti di lavoro, ridurre l’inquinamento e creare un ritorno economico nell’UE pari a 13.000 miliardi di Euro entro il 2050. L’innovazione comprende molti ambiti, come le app per la mobilità urbana, le turbine eoliche galleggianti offshore, oppure l’utilizzo delle proteine degli insetti per diminuire le emissioni di gas serra del bestiame nelle fattorie. Ecco perché, insieme a un gruppo di organizzazioni che condividono il nostro pensiero, chiediamo all’Unione Europea di fare molto di più per accelerare l’innovazione pulita. In secondo luogo, l’UE deve assicurarsi che il quadro di ricerca e di sviluppo europeo sia all’altezza del suo potenziale. Troppo spesso l’approccio dell’Unione Europea alla Ricerca e all’Innovazione è stato frammentario e poco coeso. Questo è un freno alla nostra economia e al lavoro dei ricercatori, innovatori e imprenditori, che sono la base per costruire un futuro clean dal punto di vista economico. L’anno scorso sono state lanciate le cinque mission del programma Horizon, che si prefiggono di cercare entro il 2030 soluzioni in ambiti di interesse per la popolazione: cancro, città pulite, rigenerazione dell’idrosfera, adattamento ai cambiamenti climatici e salute del suolo. È una grande opportunità per la Commissione Europea per stimolare e accelerare il Green Deal europeo e permettere agli innovatori di liberare le loro capacità in Europa e nel resto del mondo.

Infine, dobbiamo imparare dai nostri errori. L’Europa è stata ai margini della rivoluzione digitale mondiale. Non c’è una sola azienda digitale importante che abbia scelto di stabilire la propria sede centrale all’interno dei nostri confini. Abbiamo fatto troppo poco, e troppo tardi. Non ripetiamo questo errore. Se i policy maker aumentano gli investimenti pubblici green e adottano normative chiare in settori che riguardano la vita quotidiana, come l’energia, i trasporti e le costruzioni, allora possono aiutare le aziende europee a innovare e le future Apple, Google e Baidu della transizione ecologica saranno in Europa, e non nella Silicon Valley o a Shanghai.

Mentre questa settimana il mondo guarda la difficile transizione a Washington e le sue conseguenze, forse noi europei dovremmo avere la saggezza di dare ascolto alle parole di un altro presidente americano, Barack Obama. Otto anni fa, in occasione del suo secondo discorso di insediamento, disse: «Non possiamo cedere alle altre nazioni la tecnologia che alimenterà i nostri posti di lavoro e le nostre industrie. Dobbiamo difendere questa promessa».

Pascal Lamy coordina i think tank dell’Istituto Jacques Delors a Parigi, Berlino e Bruxelles, che hanno partecipato negli ultimi due anni a una coalizione che mirava a innalzare il profilo della ricerca e dell’innovazione nell’Unione Europea in materia di cambiamento climatico. È stato membro della Commissione Europea (1999-2004) e Direttore Generale del WTO (2005-2013).

19 gennaio 2021, 08:52 - modifica il 19 gennaio 2021 | 08:53

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