«Bisogna smetterla di parlare degli Stati Uniti d’Europa, la gente non li vuole». Anche se già in passato aveva affrontato il tema in termini simili, questa volta Jean-Claude Juncker è stato più netto del solito. L’Unione Europea va rilanciata, ma non è il momento per tirare fuori dal cassetto i sogni federalisti messi nero su bianco da Altiero Spinelli nel suo Manifesto di Ventotene. Juncker è consapevole che questa è una fase delicata: c’è il rischio che dagli Stati arrivino reazioni in senso opposto. Da Parigi il capo della Commissione Ue ha dunque ridisegnato la sua idea di Europa dialogando con il premier francese Manuel Valls che, sul punto, si è mostrato d’accordo con Juncker, difendendo – in modo ancora più accentuato – la sovranità degli Stati nazionali. Anche se poi lo stesso Juncker ha fatto capire che la lentezza di alcune decisioni di Bruxelles è dovuta al Consiglio, dunque ai governi, e non alla Commissione: «Dopo gli attentati di Parigi del novembre scorso, abbiamo studiato e predisposto una direttiva sulla vendita delle armi in 15 giorni. Che poi è rimasta bloccata per otto mesi in Consiglio…».

Presenti anche Mogherini e Letta

L’occasione per la riflessione è stata offerta dalle celebrazioni per il ventennale dell’istituto Jacques Delors, di cui La Stampa era partner, che hanno visto la partecipazione – tra gli altri – del presidente francese François Hollande e dell’Alto Rappresentante per la politica estera Federica Mogherini. Sua è la Global Strategy presentata nelle scorse settimane, una mappa da cui partire per studiare una Difesa comune europea. Si tratta di un tema su cui c’è una vasta convergenza tra i 27 Paesi dell’Unione, ora che la Gran Bretagna è con un piede fuori dalla porta. “Serve una strategia comune – ha detto Juncker - non possiamo lasciare la Francia da sola in questo compito”.

Il rischio stallo

La giornata è stata aperta dall’intervento dell’ex premier italiano Enrico Letta, direttore dell’istituto Jacques Delors, che ha spronato l’Ue ad agire e a farlo in fretta. Nel 2017 – anno in cui partiranno i negoziati per la Brexit – si vota in Olanda, Francia e Germania: il rischio di un anno di stallo è fortissimo. “Ma non possiamo attendere le elezioni tedesche per rilanciare l’Ue” ha detto senza mezzi termini l’ex presidente del Consiglio italiano. Juncker ha assicurato che non sarà così e annunciato che “nei prossimi 12 mesi” verranno prese “decisioni importanti”.

I flussi migratori

Per l’Europa una delle sfide più grandi resta quella dell’immigrazione. Il presidente della Commissione ha colto l’occasione per richiamare di nuovo all’ordine gli Stati che non fanno il loro dovere e che si rifiutano di accogliere le quote di rifugiati decise a livello comunitario. “L’Europa si basa sul diritto. Abbiamo delle regole, ma gli Stati non le rispettano. Se ogni volta che prendiamo una decisione, uno Stato membro organizza un referendum, è la fine”. Mercoledì prossimo lo dirà anche al suo commissario Tibor Navracsics, ungherese, che in un’intervista ha detto di aver votato al referendum sui rifugiati contro il piano della Commissione. Per lui non si escludono conseguenze.

Juncker ha poi elogiato la Francia perché su questo fronte si è da subito dimostrata molto collaborativa. Lo stesso non si potrebbe dire sulle attività di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo: l’Italia denuncia di essere stata lasciata sola. Pungolato sul tema, il premier francese ha respinto le accuse di scarso impegno e ha rigirato la questione mettendo l’accento sul fronte militare, dove l’impegno francese, per esempio in Mali o in Medio Oriente, è più forte di quello di altri Paesi. Tradotto suona più o meno così: noi facciamo poco per salvare i migranti in mare, ma facciamo molto con i nostri eserciti nelle zone di conflitto.

Sul fronte Brexit, la linea della Commissione è sempre quella di non voler cedere nulla alla Gran Bretagna. Juncker annuncia che “non ci saranno sconti sulle regole del mercato unico” e che non saranno tollerati tentativi di negoziati bilaterali con i singoli Paesi prima della notifica dell’articolo 50. Massima intransigenza anche sul Ttip, sul quale c’è stato un nuovo round di negoziati questa settimana: “Non ci inginocchieremo davanti agli Stati Uniti” ha detto Juncker. E Valls ha definito lo stato dell’accordo “inaccettabile”. Ma il vero problema, al di là delle divergenze con Washington, è che tutto resterà congelato fino alle elezioni in Francia e in Germania.

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